La città di Kapilavastu, nell’odierna regione di Gorakhpur, al confine con il Nepal, era una repubblica retta da numerosi clan guerrieri . Tra questi era al potere il clan degli Shakya, di cui faceva parte la famiglia Gautama (o Gotama). A Suddhillama Gautama (?), in una data posta tra il 580 ed il 550 a. C. nacque un figlio cui fu posto il nome di Siddharta ,che la storia conobbe meglio come Shakyamuni, o il monaco degli Shakya
Nessuno può dire con esattezza cosa avvenne nella mente di Siddharta per risolverlo a divenire Shakyamuni, né soprattutto quale fu l’evoluzione interiore che trasformò il monaco degli Shakya in un Buddha o illuminato sino a farlo diventare il Buddha per antonomasia. Il maestro, come altri grandi maestri, non lasciò nulla di scritto,la sua esistenza è storica , la sua biografia fu cantata da poeti come Ashvagosa, i suoi insegnamenti furono raccolti in un corpus diviso in tre sezioni (i discorsi del Buddha, le regole monastiche, la dottrina)più di due secoli dopo la sua scomparsa. Ci fu tutto il tempo perché le diverse interpretazioni delle sue idee dessero origine ai più disparati punti di vista.
La fondazione del pensiero buddhista viene generalmente sintetizzata in quattro verità, che più propriamente si dovrebbero definire ‘scoperte’ che la tradizione vuole pronunciate dal Buddha, semplicemente e pubblicamente dopo aver conseguito l’illuminazione.
La vita è sofferenza- questa prima verità fu probabilmente ciò che trasformò Siddharta in Shakyamuni. Il ricco rampollo dei Gautama non sarebbe certo arrivato a questa conclusione se non avesse incontrato sulla sua strada, durante le rare uscite dalla casa paterna, prima un vecchio, poi un malato e quindi il feretro di un morto. Fu così che il giovane Siddharta si rese brutalmente conto che la vita, perfetta e felice, che i suoi genitori gli avevano imbandito era pure soggetta a queste tre afflizioni dalle quali non v’era scampo. La quarta volta incontrò un asceta e con ogni probabilità ebbe la sensazione che in quell’esistenza, priva di beni materiali e di affetti, esclusivamente dedicata all’indagine e alla meditazione, ci fosse la possibilità di indagare il senso dell’esistenza. Così Siddharta abbandonò il fasto della sua residenza ed i suoi affetti più cari e, libero da ogni legame, iniziò la sua ricerca.
Inizialmente apprese dai Rishi nozioni di Shamkya e Vedanta, due dei massimi sistemi filosofici dell’induismo, in seguito si diede a mortificare il proprio corpo in pratiche ascetiche e digiuni. Tale fu il fervore del giovane muni che egli si ridusse presto in fin di vita senza aver trovato le risposte che cercava. Un giorno che era caduto in deliquio la leggenda vuole che passasse di là una giovane donna, che lo nutrì con latte e con riso. Ashvagosa la chiama Nandabala, figlia del re dei pastori; molto più poetica e pregnante è la versione in cui questa donna provvidenziale è una musicista. Essa esorta l’asceta a nutrirsi spiegandogli che gli eccessi non possono portare alla verità così come le corde troppo lente o troppo tese del suo strumento non possono dare il giusto suono. In questo episodio si riconosce la ‘via del giusto mezzo’ così importante nel pensiero buddhista.
“Egli fece allora voto di conseguire l’illuminazione, sedette ai piedi di un grande pipal e, assunta la posizione della meditazione, rimase così tre giorni e tre notti, fino a che la sua ragione non ebbe raggiunta la Legge che governa l’universo e la via alla liberazione …” Quando si alzò era divenuto il Buddha , cioè l’illuminato.
La consapevolezza della Legge e del sentiero della liberazione costituiscono gli argomenti delle altre tre verità. La prima nelle parole del Buddha afferma: “La nascita è sofferenza, la vecchiaia è sofferenza, la malattia è sofferenza, la morte è sofferenza, essere uniti a ciò che non si ama è sofferenza, essere separati da ciò che si ama è sofferenza, non realizzare il proprio desiderio è sofferenza…”.
La seconda verità spiega che il triste destino umano si inserisce in una legge di causa ed effetto che si può concepire come una catena di dodici anelli di cui ognuno genera il successivo e deriva dal precedente in un cerchio senza fine che è ill Samsara, la ruota della morte e della rinascita. La formula di questo nesso causale nasce da un modo di pensare che non fa parte della nostra logica, non facendo differenza tra sostanze, qualità e funzioni, tra cause materiali e condizionamento psichico ed estendendosi oltre l’arco di una sola vita.Questa verità è detta ‘verità sull’origine del dolore’. Questa idea di un ciclo di eventi che fatalmente trascina l’uomo di esistenza in esistenza non era certo nuova nel pensiero dell’India, veniva anzi usata per giustificare e rafforzare il sistema delle caste: il risultato delle nostre azioni (karma) passate era ciò che determinava la nascita in una casta privilegiata o in una condizione di emarginazione e, secondo i bramani – la casta sacerdotale più alta-, non vi era altro da fare che comportarsi bene e sperare in una rinascita migliore.
Gautama il Buddha non era del parere che ci si dovesse rassegnare a questo fato; la terza verità sostiene che da questa situazione si può uscire, che la catena si può spezzare; basta aver ragione di una sola di queste dodici cause perché tutte le altre vengano a mancare. L’anello sul quale più efficacemente si può agire è il primo della lista: l’ignoranza. A questa convinzione, comune anche ad altre soteriologie , il Buddha aggiunse però un altro elemento: la liberazione è possibile per chiunque senza distinzioni di casta o di sesso ed inoltre chiunque può essere “lanterna di sé stesso” sconfiggendo la propria ignoranza senza bisogno di ausili esterni.
Qual’è allora il metodo per affrancarsi dal Samsara? Questo è l’argomento della quarta verità e la risposta è semplice: attraverso la rettitudine. La via che conduce all’estinzione della sofferenza è un ottuplice sentiero di rette opinioni, retto scopo, rette parole, retta azione, retto modo di esistere, retto sforzo,retta attenzione, retta meditazione. E per retto si intende, a nostro parere, ciò che ha superato superstizioni ed illusioni, ciò che deriva da una coscienza vigile ed attenta, ciò che non è dettato da interessi egoistici ma che scaturisce dal rispetto e dalla comprensione per tutto ciò che vive. Chiunque si incammini su questa via di otto sentieri paralleli non ha in mente di ottenere paradisi o evitare inferni. Il suo scopo è quello di raggiungere l’esatta percezione di ciò in cui è immerso: l’universo è un continuo aggregarsi e disgregarsi , in esso non ci è nulla di permanente (tanto meno l’io). In questa impermanenza tutte le forme si equivalgono. Chi comprende ciò non fa più distinzione tra la vita e la morte. Chi comprende questo ha sconfitto l’ignoranza, ha spezzato le catene, ha raggiunto il Nirvana. Il sapere di un essere vivente non va oltre questo, il Buddha si è sempre rifiutato di fornire la ‘Spiegazione’, dare la causa prima, la ragione di tutto ciò che esiste. Nirvana significa estinzione, ossia quello stato mentale raggiungibile in vita quando tutti gli attaccamenti alle forme transeunti del Samsara sono estinti.
Ottenuto questo stato ineffabile l’illuminato scelse di conservare il più nobile dei legami terreni: quello dell’altruismo e della compassione. Anziché uscire dal mondo chiudendosi la porta alle spalle egli rimase per indicare la via a chiunque ed in base alle possibilità di ciascuno. Non è necessario essere monaci per percorrere l’ottuplice sentiero; la strada potrà essere più breve o più lunga ma l’importante è andare nella giusta direzione. Sin dall’inizio del suo insegnamento il Buddha fu circondato da uomini e donne di ogni ceto e condizione, ad essi consigliò la ragionevolezza e la non violenza, il rispetto reciproco e per la natura, la semplicità ed il buon senso. Egli si esprimeva in modo semplice e diretto usando una lingua che noi oggi definiremmo ‘volgare’ ossia il prakrito, derivata dall’aulico sanscrito, che era la lingua del popolo e soprattutto delle donne, usata anche per la successiva redazione del canone buddhista. Da ciò si può facilmente intuire quale enorme impatto sociale abbia avuto questa interpretazione dell’esistenza e dell’universo.
Ma le idee espresse in questo semplice linguaggio implicavano concetti di enorme portata, sia dal punto di vista filosofico che scientifico. Le diverse interpretazioni che cominciarono a fiorire alla morte del maestro, o , più esattamente, dal momento del suo parinirvana,diedero origine a molte scuole che conquistarono alla “buona dottrina” non solo il subcontinente indiano ma anche gran parte dell’estremo oriente. Dal diciannovesimo secolo in poi il buddhismo ha attratto su di sé anche l’attenzione degli studiosi occidentali ed oggi anche a noi è offerta la grande possibilità di attingere alla saggezza del Buddha il che sarebbe, soprattutto oggi, quanto mai opportuno.