L’ingresso della Medicina Tradizionale Cinese (MTC) in alcune strutture pubbliche e la sua ormai discreta diffusione in quelle private vanno accolte con favore. Sebbene tardivo e ancora limitato, il riconoscimento dell’efficacia terapeutica di tecniche come l’agopuntura è stato salutato come una vittoria degli utenti del sistema sanitario. Sono loro, sono i pazienti ad aver accordato sempre maggiore fiducia a queste terapie esotiche. Sono loro, sono i pazienti ad averne favorito l’integrazione. Chiariamo subito: la MTC non è solo agopuntura o fitoterapia. Del resto, ciò che di fatto è stato ammesso a far parte dell’esclusivissimo club delle terapie ufficializzate non ha quasi più nulla in comune con l’impianto teorico della medicina tradizionale. Lungi dal rimpiangere metodiche remote, mi chiedo se sia giusto negare ogni possibilità di sviluppo a quel che è ancora al di qua dell’ambita soglia del riconoscimento scientifico.
Il lungo iter del riconoscimento ufficiale iniziò dalla ben poco tradizionale tecnica dell’elettroagopuntura, utilizzata per analgesia in chirurgia. Era il 1972, e mentre Nixon rendeva la sua storica visita in Cina, suscitava scalpore il caso di un giornalista americano operato nell’Ospedale Antimperialista- il destino non manca certo di ironia… Si sa, durante la Rivoluzione Culturale, l’eletroagopuntura era stata sopravvalutata. Essa era infatti usata come simbolo di una possibile l’emancipazione del sapere autoctono: dai suoi incresciosi legami con la cultura feudale a una scienza dialettica e marxista. Ed era a tal punto sopravvalutata, quella terapia, da essere utilizzata anche per quegli interventi- come ad esempio alla gola o comunque in prossimità della testa- per i quali risultava inefficace. Sono documentati casi di malcapitati che cercarono di corrompere gli anestesisti per ottenere un’efficace analgesia con altri mezzi. Fu tuttavia da questo poco ortodosso utilizzo in chirurgia che derivarono le prime spiegazioni scientifiche dell’agopuntura; alludo alla famosa “teoria del cancello” (saturazione del canale nervoso che diventa refrattario alla trasmissione dello stimolo dolorifico), o a quella della stimolazione alla produzione di analgesici naturali nell’organismo. L’intenzione di avvalorare l’effetto analgesico dell’agopuntura finì per limitarla alla sola terapia del dolore, considerata piuttosto marginale nell’agopuntura tradizionale. Anche le recentissime ricerche con la PET, condotte da CNR, Università Bicocca e Istituto S. Raffaele di Milano, hanno altresì confermato l’effetto antidolorifico, ma non quello omeostatico e psicoregolatore, dell’agopuntura cinese. E comunque, essa era praticata da molti medici nostrani fuori dalle strutture pubbliche. Ora il processo di ’emancipazione’ della medicina cinese dalla cultura tradizionale sta subendo una forte accelerazione. Risale a poco tempo orsono la decisione di escludere dalla formazione universitaria materie inerenti il background culturale della medicina classica; agli istituti stranieri che aspirino a un riconoscimento accademico cinese viene ingiunto di astenersi dal trattare il “pensiero cinese”; pratiche tradizionali come Qigong e Taijiquan- che in Cina, fino ai primi anni ’90 andavano per la maggiore anche nelle strutture sanitarie pubbliche- non sono più incoraggiate (per usare un eufemismo) e persino il linguaggio tradizionale dello Yin-Yang, che tanto affascina l’occidente, risulta ormai desueto in patria. Le autorità cinesi giustificano tale atteggiamento con il più ovvio degli argomenti, e cioè che nessuna dignità scientifica può essere accordata a ciò che non venga espresso nel linguaggio della scienza. Ma vi è un’altra ragione, più antica e transculturale, per la quale farei uso di una definizione popolare: “caccia alle streghe”. La recente repressione della setta Falungong si è infatti probabilmente estesa anche a certe forme meno esoteriche di esercizio, tipiche della medicina classica, che comunque minacciavano le stesse finalità della salute convenzionale (alti coefficienti di produttività e di adattamento) per sostenere “pericolose” forme libertà interiore, come l’autonomia sociale e il risveglio delle capacità latenti. E’ un problema che ovviamente riguarda tutte le società “evolute”.
Molti occidentali sono ancora convinti che tra i Cinesi abbondino filosofi e “grandi maestri”. Allo stesso tempo vi è una terza generazione di alacri pionieri occidentali- per la maggior parte medici- che si arrovella sulle scarse e spesso approssimative traduzioni dei classici nel tentativo di appropriarsi del “fiore d’oro” del sapere estremo-orientale. E mentre a ovest accade tutto ciò, in Cina questa stessa tradizione viene vista quasi con vergogna, relegata in un passato che- contro ogni evidenza archeologica- si fa sempre più remoto. Insomma, di quella medicina che si era occupata dell’invisibile (occulto o trascendente che fosse), di quella medicina che aveva individuato nelle tecniche sessuali uno dei mezzi di accesso più idonei… sembra che i cinesi non ne vogliano sapere!
Com’è noto, fu proprio alla fine della Rivoluzione Culturale che una serie di scoperte archeologiche iniziarono a gettar luce sulla fase di gestazione del corpus teorico dell’MTC, situata attorno al III secolo a.C. (e non duemila anni prima come molti insistono nel sostenere). Ricorderei, in proposito, i testi di Mawangdui (recentemente tradotti in inglese da D. Harper) e della tomba di Wuwei (1972), il libro intitolato “Miriade di cose” nella tomba di Xiahou Zao (1977), i testi della tomba 247 di Zhangjiashan (1983) cui vanno aggiunti i trattati di emerologia divinazione e magia di Fangmatan (1983). Nel loro processo di trasmissione, gli altri classici superstiti subirono numerose modifiche, censure e omissioni; dai loro originali si era per la prima volta socchiusa una piccola finestra da cui sbirciare la medicina classica, nel momento del completarsi del suo impianto teorico di base, senza le lenti deformanti dei commentatori e copiatori delle generazioni successive.
Da quella privilegiata postazione era dato osservare una medicina in cui i due terzi dei precetti non riguardavano il come operare sui pazienti, bensì il come potenziarli, coniugando l’uso di determinate sostanze e alimenti con tecniche meditative respiratorie e motorie e raccomandazioni erotiche. Il rapporto sessuale- veniva ripetutamente consigliato- doveva essere “lento e prolungato”. Istruzioni a uso degli uomini che non suonavano certo generiche, poiché dettagliate nei tempi, nella frequenza e nella modalità delle penetrazioni, sì da usufruire appieno di quei vantaggi, in termini di energia vitale, derivanti dagli orgasmi femminili. Ma, più in generale, si trattava di “elementi di struttura del sentimento”, considerando che la soddisfatta affettività della donna avrebbe concesso “l’intimità che si ha con un fratello e l’amore che si nutre per il padre e la madre”.
In seguito, purtroppo, la tradizione salutistica dell’antenato Peng, fondata sul rispetto quotidiano dei ritmi e delle caratteristiche stagionali, propugnerà una visione dell’ “arte della camera” assai più fallocentrica, legata a una strumentalizzazione anaffettiva dell’orgasmo femminile.
Quanto alla medicina in senso stretto, se la fisiologia dei canali energetici (meridiani) è già ben definita, l’agopuntura risulta ancora in gestazione (nonché del tutto assente dai testi di Mawangdui). Le tecniche terapeutiche spaziano da una concretissima traumatologia con dettagliate istruzioni chirurgiche (siamo nel periodo “Stati Combattenti”) a tecniche esorcistiche e magico-religiose di matrice sciamanica, passando per una farmacopea che contempla bagni medicati, fumigazioni e semplice contatto prolungato accanto alla somministrazione orale. Gli oltre 500 rimedi comprendono antipiretici, rimedi anti-età, purganti, tonici, afrodisiaci e sostanze ‘demonifughe’; tradizione, quest’ultima, perpetuata dai testi medioevali, nella cui classificazione gerarchica le droghe non strettamente terapeutiche occupavano il primo posto.
Gli storici della medicina- soprattutto Cinesi- constatano con un certo compiacimento che, già nel Neijing Suwen e nello Shanghanlun (probabilmente compilati attorno al I secolo a.C. e a tutt’oggi i classici più studiati e usati) non resti traccia del retaggio sciamanico e sessuologico. Del primo sono state comunque difese nozioni di autotutela della salute, in linea con la tradizione dell’antenato- per alcuni sciamano- Peng, ma epurate di ogni riferimento alla sessualità. E pensare che, secondo lo Shiwen di Mawangdui, l’antenato Peng avrebbe detto che “l’arte della longevità sta tutta nel pene”! D’accordo, alludeva all’astinenza… ma tant’è! Nel Neijing, il tema della psicosomatica, fondato sulla supremazia dello Shen (“spirito”) su tutte le altre attività vitali- emotività inclusa- viene ampiamente sviluppato, tanto da risultare, ancor oggi, uno dei punti di forza e modernità dell’intero scritto. Nello Shanghanlun invece, l’eziologia interna delle emozioni scompare del tutto, per lasciar spazio a una medicina finalmente definita scientifica. Essa, pur rimanendo fondata sulla fisiologia energetica dei canali, individua nei fattori esterni la sola causa scatenante ogni malattia. Inoltre entra nei dettagli della la semeiotica (polso, lingua, colorito ecc.), assegnando a ogni quadro diagnostico una prescrizione farmacologica quale unica terapia contemplata. Nel Neijing Suwen- e soprattutto nella sua parte più tarda, nel Neijing Lingshu- si privilegia invece l’agopuntura.
Rimane da chiedersi come mai questo presunto distacco “della medicina protoscientifica dalla primitiva medicina sciamanica” sia stato in tal misura enfatizzato, quando poi, in realtà, gli elementi esorcistici, la sessualogia e le tecniche di meditazione continueranno ad apparire in diversi trattati di medicina almeno fino all’inizio del ‘900. Il Qianjin Yaofang, attribuito al celeberrimo medico Sun Simiao (fine VI secolo) è un testo fondamentale per la preparazione accademica dei medici tradizionali. La sua selezione di punti d’agopuntura per il trattamento di problemi specifici è ancor oggi molto popolare; sono anche di uso comune, in pediatria, ostetricia e ginecologia, le sue ricette fitoterapiche. Tuttavia, l’ampio spazio dedicato alle arti e alle tecniche di origine sciamanica- qui già molto ben sviluppate- sembra essere del tutto ignorato. Gli unici capitoli sinora tradotti riguardano l’agopuntura. Sun Simiao è uno dei pochi autori riconosciuti e rinomati nella storia ufficiale della medicina ad aver trattato in modo così esplicito queste tematiche, e il …………….. è uno dei rari libri da cui tali argomenti non siano stati epurati nel processo di trasmissione a noi giunto; argomenti esclusi da una medicina sempre più orientata alla cura delle malattie, ma comunque conservati nei quasi impenetrabili testi del canone taoista.
Tra le parti neglette del Qianjin Yaofang vi è, ad esempio, un’intera sezione dedicata al “nutrimento della natura originaria” (yang xing); essa tratta delle discipline per “nutrire la vita” (yang sheng)- quali massaggi, tecniche sessuali, dietetica, esercizi Daoyin-Qigong- e accenna ad altre tecniche (dette di alchimia interna) relative alla trasformazione di sé attraverso una medicina ‘endocrina’- il dan- che permetterebbe il contatto con una dimensione trascendente
Egli così sintetizza: “Trattenere la collera per completare lo Yin, reprimere la gioia per nutrire lo Yang; quindi prima si assumano erbe e radici per colmare le carenze, poi si assuma il dan aureo per stabilizzarsi nel senza limite. I principi del nutrire la propria natura originaria si esauriscono qui.
Questa frase merita un commento. Da essa si evincono due termini fondamentali dell’autoelevazione, cioè della medicina che va dallo stato di salute in poi: xing, la natura originaria, e ming, la vitalità, intesa anche come quantità di vita da vivere e quindi come destino. Quale natura innata, Xing viene anche contrapposto a qing, termine comprendente le pulsioni e le emozioni.
Un famoso motto recita “la Via è il ritorno”. Come spiega Sun Simiao, dapprincipio occorre a lavorare sull’aspetto fisico e psico-emotivo; acquisite la pace del cuore, la padronanza di sé e la pienezza della forza, inizia il cammino a ritroso, verso la propria natura originaria. Da Sun Simiao in poi, il principio base delle tecniche di autoelevazione verrà espresso dal precetto xing ming shuang xiu “coltivare sia xing che ming”, ossia raggiungere la durata massima della vita fisica che ci è stata destinata, esprimendo ciò che siamo in origine.
Si parla anche della dimensione trascendente “il senza limite”, che i taoisti definiscono Yuan (origine) o Wu “non essere”, perché non si può percepire sensorialmente, né concepire intellettualmente, se non per quanto concerne il suo riflesso nella dimensione dell’essere (“you”). You e wu “essere e non-essere” sono i due aspetti del Dao (Tao) come dell’uomo: al primo appartiene l’energia innata- detta del “cielo anteriore” o “anteriore al cielo”, riferendosi alla sua natura al di fuori del tempo e dello spazio; al secondo l’energia acquisita, quella che si può ottimizzare con il giusto stile di vita. La definizione “non essere” non tragga in inganno. Si tratta di qualcosa di molto presente nelle nostre vite, che è direttamente connesso con la nostra natura originaria e il nostro destino: sta a noi farci guidare dalle pulsioni-emozioni o cavalcarle alla ricerca di xing. Il percorso verso una salute superiore è rivolto all’autenticità, alla scoperta del proprio “vero volto”. L’uomo autentico (zhen ren)- appellativo riservato ai grandi iniziati- ha già compiuto questo cammino.
Il grande maestro Lü Dongbing (nato nel 755 d.C.) scrisse: “Nel cielo anteriore non c’è cosa che non sia presente. Essendoci il cielo anteriore ne consegue il cielo posteriore. Il cielo anteriore di tutti gli esseri è il cielo anteriore di ciascuno, da ogni parte distinta di cielo anteriore nasce il cielo posteriore. Quando il cielo posteriore è compiuto, allora si ottengono i tre tesori [shen, qi, jing: spirito, energia psico-fisica e sostrati quintessenziali]. Sono questi tre tesori tangibili che completano l’essere umano…”
La teoria del “triplice tesoro”- trattandosi di tre aspetti di un’unica realtà- costituisce il traît-d’union fra le “arti per la salute” e la medicina terapeutica.
Anche la medicina ‘tradizionale’ odierna contempla l’energia innata, detta Yuan ‘originaria’, l’aspetto anteriore del triplice tesoro (Yuanshen, Yuanqi, Yuanjing); pur negandone qualsiasi aspetto trascendente, ne riconosce il fondamentale ruolo propulsivo di tutta l’attività vitale (esaurito lo Yuanqi si muore). Nei testi moderni, l’energia innata e il suo substrato fisiologico si identificano nel patrimonio genetico dei gameti parentali. Effettivamente, le cellule riproduttive tesaurizzano buona parte dell’energia innata, la quale, avendo assunto una forma, è tuttavia già relativamente ‘posteriore’, cioè immanente. Nella teoria originaria viene invece a precisarsi una concezione epigenetica (pura eresia nel ‘secolo biotech’), secondo cui la natura originaria non avrebbe origine dai genitori ma attraverso di loro. L’estasi sessuale aprirebbe un varco temporaneo tra le due dimensioni, convogliando nelle “essenze seminali” l’energia del cielo anteriore. Val la pena ricordare che il carattere xing di “natura originaria” è lo stesso che si usa per “sesso”.
Questi brevi appunti restano essenzialmente esoterici, ma essi si prefiggono lo scopo di ricordare che la Medicina Tradizionale Cinese non è solo agopuntura o fitoterapia. Non è questione di rimpiangere una prassi medica che non può certo competere- in termini di successi terapeutici e di aspettativa di vita- con quella attuale. Il problema è semmai di domandarci se vadano negate dignità e possibilità di sviluppo a ciò che è destinato a rimanere fuori dall’agognata soglia del riconoscimento scientifico. Per evolversi, la scienza dovette ripudiasse la religione, la psicologia affrancarsi dalla filosofia. Non ne consegue che gli esseri umani debbano abdicare all’aspirazione di compiutezza.
Sempre di più nelle varie discipline delle ‘scienze umane’ si avverte la necessità di reintegrare il ‘senso’ al ‘fine’, così ritrovando lo spazio del soggetto nella conoscenza oggettiva. Riducendo l’MTC a combinazioni di punti e di erbe, forse perderemo la bella occasione di contribuire a un ben più elevato concetto di salute. Se questo avvenisse, purtroppo, ci dimostreremo incapaci di oltrepassare i limiti del benessere e di rispondere a bisogni più profondi di relazione, carnale e mistica. E, quel che è peggio, dovremo rinunciare a gettare il nostro sguardo là dove il microscopio non arriverà mai.